Dal sito ufficiale dell'Editore Einaudi
riportiamo la storia della Casa Editrice
La testimonianza di un'attività culturale e di una
militanza che tanto ha da insegnare ai giovani di oggi.
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Giulio Einaudi
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La casa editrice Einaudi viene
fondata nel 1933 da un gruppo di amici, allievi del
liceo classico D’Azeglio. Seppure in anni e in classi
diverse, questi giovani avevano avuto tutti come
professore Augusto Monti, che li aveva educati ai valori
della cultura, della libertà e dell’impegno civile.
Intorno al più giovane di loro, Giulio Einaudi (1912),
si erano così raccolti Leone Ginzburg (1909), Massimo
Mila (1910), Norberto Bobbio (1909), Cesare Pavese
(1908), affiancati successivamente da altre figure come
Natalia Ginzburg (moglie di Leone) e Giaime Pintor. La
collegialità, il gusto della discussione, il piacere di
condividere tempi e luoghi oltre i momenti lavorativi
«ufficiali» sono una caratteristica che ha attraversato
tutta la storia dell’Einaudi, e si è trasmessa da una
generazione all’altra dei suoi editor e consulenti
proprio a partire da queste origini giovanili e
addirittura scolastiche. Se nel gruppo dei fondatori
Giulio Einaudi era l’anima imprenditoriale, si può dire
che Leone Ginzburg fu, di fatto, il primo direttore
editoriale della casa editrice. Vicino all’eredità
gobettiana e al liberalismo radicale, Ginzburg intendeva
tutte le sue attività (lo studioso, l’editore, il
traduttore, il militante politico) come una missione. In
questo senso l’Einaudi è nata come una casa editrice
basata su un intreccio politico-culturale inscindibile,
soprattutto votata alla saggistica (le prime collane,
tuttora esistenti, sono la «Biblioteca di cultura
storica» e i «Saggi»).
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Dopo essere stato scoperto a stampare
clandestinamente il giornale di Giustizia e libertà,
Ginzburg viene torturato e ucciso dai nazisti a Roma nel
1944. L’Einaudi continua la sua attività e si fa in tre:
alla redazione romana c’è Pavese, in quella milanese
Vittorini, alla sede di Torino prima Mila, poi torna
Pavese. Vittorini incarna la continuità dell’intreccio
politico-culturale einaudiano e l’ideazione della
rivista «Il Politecnico» è una delle imprese più
rilevanti, in questo senso, dell’immediato dopoguerra.
Fondamentale, inoltre, sarà in quegli anni la
pubblicazione delle opere di Gramsci.
Ma chi
prende di fatto la funzione di guida dell’Einaudi è
Pavese. Con lui la casa editrice diversifica la sua
produzione saggistica (aprendosi all’antropologia e alla
psicanalisi) e comincia a essere un punto di riferimento
anche per la narrativa italiana e straniera e per i
classici, con le collane dei «Coralli», dei
«Supercoralli» e dei «Millenni». Dopo la sua morte
(1950) la casa editrice, coordinata da Luciano Foà,
assume il compito, soprattutto con «I gettoni» di
Vittorini, di rinnovare la narrativa italiana
promuovendo nuovi autori come Fenoglio, Lucentini,
Ottieri, Lalla Romano, Rigoni Stern, Anna Maria Ortese,
Sciascia e molti altri. Ma è anche importante la
continuità della riflessione politica che si svolge in
una collana come quella dei «Libri bianchi», nata
all’indomani della crisi del 1956, con i fatti di
Ungheria e la rivelazione dei crimini di Stalin, insomma
con la prima grande crisi di coscienza dei comunisti
italiani.
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S.Stefano Belbo, 1932. Da
sinistra: Pavese, Ginzburg, Antonicelli, Frassinelli
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Se Vittorini e Calvino, attraverso le collane di
narrativa e la rivista «Il menabò» (1959-1967), guidano
la ricerca letteraria sui percorsi di una progressiva
sperimentazione, attentissimi a quanto accade di più
innovativo in Europa e in America, Giulio Bollati
coordina l’insieme delle proposte saggistiche e le
collane di classici, proponendo una rilettura profonda e
inquieta della modernità. La «Pbe» da un lato (1960), la
«Nue» dall’altro (1962) mettono a punto una sorta di
enciclopedia in progress, con un duplice sguardo che
punta al futuro delle varie discipline di pensiero e al
passato della tradizione letteraria e filosofica, dove
la tradizione faccia leggere meglio i nodi della
contemporaneità. Una feconda alternanza di antichi e
moderni è pure la “Collezione di poesia” (1964), che
riscopre vecchi maestri e dà spazio alla neoavanguardia.
La scoperta letteraria e la riflessione
politico-culturale formano una sorta di doppio passo
della casa editrice. Emblematico è il 1965, in cui
nascono contemporaneamente due collane come «Nuovo
Politecnico», diretta da Bollati - piccoli libri che
affrontano i problemi politici e sociali senza mai
limitarsi alla descrizione, ma scavando nelle questioni
teoriche sottostanti - e «La ricerca letteraria»,
diretta da Davico, che va a scovare i più significativi
testi sperimentali in Italia e all’estero. Doppio passo
che prosegue con la nascita della «Serie politica»
(1968) e di «Einaudi Letteratura» (1969).
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Giaime Pintor
Pavese alla sua scrivania in
casa editrice
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Gli anni Settanta sono il momento in cui
l’Einaudi fa il massimo sforzo per ampliare il proprio
pubblico e ottiene enormi risultati di diffusione. Nella
saggistica l’esempio più eclatante è l’impresa della
Storia d’Italia in sei grossi tomi (1972-1976),
diretta da Ruggiero Romano e Corrado Vivanti, che
nonostante rappresenti la punta più avanzata della
ricerca storica e non abbia nulla di divulgativo, vende
più di 100 mila copie. Nella narrativa basterà citare un
bestseller assoluto come La storia di Elsa
Morante, che vende circa un milione di copie. E poi
nascono «Gli struzzi», che sono una sorta di collana
semi-economica dove passa tutto il meglio di quanto
l’Einaudi ha già pubblicato in altre collane, e le
«Centopagine» di Calvino che disegnano il profilo dei
classici della modernità. Nasce anche
l’Enciclopedia in 15 volumi (1977-1982), diretta
da Ruggiero Romano, che si avvale dell’apporto dei più
importanti studiosi di tutto il mondo: l’opera, che ha
una struttura complessa e molto innovativa, non avrà lo
stesso successo della Storia d’Italia, anche se
supererà comunque le 35 mila copie.
Gli anni
Ottanta sono anni difficili per la casa editrice, che
passa attraverso una grave crisi finanziaria ma,
nonostante tutto, riesce a pubblicare autori nuovi, a
impostare nuove collane come «Microstorie», diretta da
Carlo Ginzburg e Giovanni Levi, e «Scrittori tradotti da
scrittori», ideata e seguita personalmente da Giulio
Einaudi, a costruire un’opera in molti volumi come la
Letteratura italiana diretta da Alberto Asor
Rosa, che è diventata subito un punto di riferimento
imprescindibile per lo studio e la
consultazione.
Con gli anni Novanta c’è stato un
parziale ricambio generazionale e un rinnovato impegno
su tutti i fronti «storici» della casa editrice: la
letteratura, e in particolare la narrativa straniera,
con il lancio o il rilancio di autori come Yehoshua,
McEwan, DeLillo, Saramago, Grass, Auster, Coetzee e
tanti altri; la saggistica e le grandi opere, con la
nascita della «Biblioteca Einaudi» e il rinnovamento
della Pbe; i classici, con l’avvio della «Biblioteca
della Pléiade».
Si è poi aperto un nuovo fronte:
quello dei tascabili, che l’Einaudi, a parte un
esperimento negli anni Cinquanta poi rifuso in altre
collane, non aveva sostanzialmente mai avuto e che
rapidamente diventano una parte importante della casa
editrice, crescente negli anni, fino ad assumere nel
2005, sotto il marchio «ET», una fisionomia
diversificata per genere e formato.
Nel 1996
nasce «Stile libero», collana di tendenza, rivolta
principalmente a un pubblico giovanile ma non solo, che
ha da subito presentato le novità più interessanti della
letteratura e della cultura underground e pop. Nel corso
degli anni Duemila, sempre attento alla ricerca e agli
esordi letterari, Stile libero diventa un vero e proprio
sistema editoriale, articolato in collane che spaziano
dalla narrativa ai DVD, dalla varia al noir, dal graphic
novel alla saggistica. Tra i principali successi della
formula Stile libero Niccolò Ammaniti, Michel Faber, Wu
Ming, Edward Bunker, Giancarlo De
Cataldo.
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Dal punto di vista ideologico, la caduta del muro
di Berlino ha trovato un’Einaudi già preparata a
discutere la propria identità democratica e progressista
in una situazione post-comunista. Senza inseguire la
politica, la casa editrice ha cercato soprattutto di
ridiscutere alcuni concetti fondamentali come
democrazia, partecipazione, etica laica, riavviando una
discussione culturale più ampia sugli sviluppi della
civiltà di massa e le sue possibili
derive.
Giulio Einaudi ha sempre fatto in modo
che le idee editoriali nascessero dal confronto (e
talvolta anche dallo scontro) fra le opinioni incrociate
dei suoi collaboratori. Non era uomo di decisioni
autoritarie, ma piuttosto uno stimolatore di dibattito e
di entusiasmo. La sua morte (1999) ha coinciso con la
fine di una stagione della casa editrice, ma non ha
interrotto un lavoro già avviato dai suoi collaboratori
più giovani negli ultimi anni della sua presenza.
Collane di narrativa come «L’Arcipelago Einaudi», di
saggistica come le «Vele», «Einaudi storia» o i nuovi
«Struzzi», o grandi opere come La storia del
cinema o Il romanzo proseguono e innovano un
lavoro di anni, guardano alla contemporaneità sempre con
un occhio a quel che si può prevedere del futuro e uno a
quel che non si deve dimenticare del
passato.
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Dogliani,1965. Da sinistra: Vittorini, Ponchiroli, Calvino, Einaudi
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«È a questo principio della “religione della
libertà” che ancor oggi la casa editrice si richiama,
ben sapendo che i vari libri che essa pubblica sono al
servizio di un sapere unitario e molteplice, ben sapendo
che ogni libro si integra agli altri suoi libri, ben
sapendo che senza questa integrazione, questa
compenetrazione dialettica si rompe un filo invisibile
che lega ogni libro all’altro, si interrompe un
circuito, anch’esso invisibile, che solo dà significato
a una casa editrice di cultura, il circuito della
libertà».
Giulio Einaudi |
Calvino nella
biblioteca della casa editrice |
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