Il fascismo è ciò che tutti sanno, ma che da qualche anno si cerca di capire meglio che cosa sia. Appare comunque accertata come inerente alla natura del fascismo «classico» l'invenzione di un sistema di conduzione politica basata sul rapporto tra un capo carismatico e le masse, sistema che implica l'interazione di almeno tre fattori: la capacità teatrale e mimetica del capo, la traduzione sistematica del reale in mitologia e della mitologia in parole d'ordine, e infine un uso intensivo e corretto dei mass media (che si basa, come ora è noto, sul principio che i mass media non trasmettono, ma sono essi stessi il messaggio).
Da questo punto di vista il fascismo apre alla fotografia una splendida e infamante carriera. Le viene affidato, infatti, il compito di superare l'antinomia tra vero e falso per creare una terza realtà incommensurabile e irrelata. La frode sta nel fatto che l'obbiettivo fotografico viene usato con una encomiabile maestria aliena da bizzarrie, con una scrupolosa e non di rado geniale esattezza.
Un opportuno controllo quotidiano (curato talvolta personalmente dal capo) garantiva durante il fascismo il rispetto stilistico e pratico della figurazione stabilita. Inutile dire, una volta di più, che anche la fotografia ufficiale tradì numerose volte gli operatori e il committente.
Prima che tutto ciò avesse inizio, ci fu tra la fine della guerra e l'affermarsi della dittatura un periodo di tensioni confuse e di lotte aspre in cerca di uno sbocco. Poteva essere una grande occasione per la fotografia, lasciata a se stessa in quella tempestosa vacanza della storia. Purtroppo le ricerche d'archivio non ci hanno portato finora a individuare una fotografia italiana critica e di opposizione - ed è lecito dubitare che sia esistita.