Presentazione:
Fin dagli inizi della pubblicazione della Storia d'Italia l'editore e i coordinatori dell'opera si erano assunti un impegno preciso: si disse già allora che non si voleva presentare un'opera «chiusa», «compiuta», con una sua verità enunciata una volta per tutte. Una realtà complessa come la storia italiana non può essere riassunta in una formula unica, seppur di largo respiro. Ne eravamo tanto convinti che già nella Presentazione, in apertura al primo volume, si diceva: «Le esperienze di quest'ultimo mezzo secolo ci hanno fatto comprendere la non inevitabilità e la non irreversibilità di alcune scelte anche fondamentali; in pari tempo ci hanno dato la consapevolezza dei limiti del nostro orizzonte, della nostra inclinazione ad accentuare per vari motivi e interessi - non certo personali, ma relativi alla nostra condizione di uomini d'oggi - questo o quel punto nodale, per ricercare le premesse di una certa situazione piuttosto che di un'altra. Non ci illudiamo, quindi, di poter cogliere la sostanza delle cose come sono realmente andate, e ancor meno di poterle far conoscere una volta per sempre».
Così, ripercorrere l'itinerario delle vicende del paese chiamato Italia, rivisitandolo sotto diverse angolazioni, con metodi, tecniche e anche preoccupazioni differenti, varrà non solo e non tanto ad «aggiornare» l'opera, quanto soprattutto a saggiarne la validità, rimettendo in discussione risultati e affermazioni. Se la nostra prospettiva ci porta a guardare al passato sotto uno scorcio critico particolare, tendente a dare un senso a quelle vicende, è necessario sottoporre a continua verifica i nostri criteri interpretativi, tenendo appunto presente quanto la realtà circostante muti rapidamente, e avendo chiaro che la ricerca storica è uno dei modi più efficaci di partecipazione alla realtà attuale.
In questo senso, ogni volume di Annali non dev’essere una mera giustapposizione di nuovi capitoli per un addizionarsi quantitativo di conoscenze o di interpretazioni storiografiche: la nostra ambizione è di contribuire a creare, secondo una linea che ha già dato risultati apprezzabili, uno strumento civile di consapevole};za critica, tanto più efficace in quanto la storiografia italiana sta vivendo una stagione particolarmente felice e non meno positiva appare la fioritura di studi condotti fuori d'Italia sul passato del nostro paese. Ma ancora una volta - senza voler riaprire l'annosa discussione sull'unità della storia d'Italia - sarà opportuno ripetere che la conoscenza dei processi storici sui quali si fonda la realtà contemporanea non può essere circoscritta a tempi relativamente ravvicinati. Come non crediamo adeguata, per la comprensione del nostro mondo, una periodizzazione esclusivamente politica, che trovi un punto d'avvio nella costituzione dello Stato unitario, così non giudichiamo sufficiente qualche passo piu indietro di qualche decennio per individuare quello che la civiltà moderna ha introdotto nella società italiana. La lotta fra vecchio e nuovo si è svolta nel nostro paese con caratteristiche affatto peculiari, che difficilmente possono essere abbastanza chiarite se non si esamina a fondo - dei due elementi - quello sicuramente piu corposo e ingombrante: il retaggio del passato. In una celebre lettera a Turati del 1894, Engels osservava che per l'Italia era particolarmente valida l'indicazione di Marx (nella prefazione al primo libro del Capitale), per cui,
«oltre le miserie moderne, ci opprime tutta una serie di miserie ereditarie, che sorgono dal vegetare di modi di produzione antiquati e sorpassati, che ci sono stati trasmessi col loro corteggio di rapporti sociali e politici anacronistici. Le nostre sofferenze vengono non solo dai vivi, ma anche dai morti. Le mort saisit le vii!»
Del resto, gravano ancora sull'oggi consuetudini, mentalità e a volte perfino avanzi e reliquie di istituzioni formatesi in età lontane, che è necessario discernere e valutare anche per capire chi siamo e quanta serietà di propositi ispiri le nostre azioni, animi i vari programmi politici.
Non a caso, dunque, questa serie di Annali si apre con un volume in buona parte centrato, piu o meno direttamente, sul problema del feudalesimo, con una serie di saggi che mettono in discussione un modo di vedere che, nel primo volume della Storia d'Italia, è stato provocatoriamente racchiuso nella formula: «un blocco di quindici secoli». Si tratta, più che di esaminare se e quanto di questa espressione sia accettabile, di capire che cosa è stato il feudalesimo in Italia, in quale misura si sia radicato, sia stato contrastato o superato, quali tipi di transizione siano stati esperiti verso la formazione economico-sociale capitalistica. Per questa ragione si è cercato di caratterizzare, nei saggi iniziali, i momenti essenziali del trapasso al feudalesimo e della sua formazione; in quelli centrali si sono illustrati taluni aspetti peculiari del fenomeno (nel suo sviluppo e nei suoi momenti di crisi) e della transizione al capitalismo, anche con contributi analitici particolari; finalmente, i due saggi conclusivi propongono alla discussione, in un quadro d’insieme problematico, il contraddittorio enuclearsi del capitalismo italiano.