Da Una città «plurale»
Una sola cosa vi è unica: il corpo del papa, corpo fragile e generalmente avanti negli anni, la cui breve durata ha creato sempre crisi di continuità e sospensioni gravide di problemi, sul piano simbolico e su quello reale. Invece, le anime del potere papale sono almeno due e i regni su cui si estende sono tre - il che dà alla corona papale un aspetto del tutto speciale. Se dal sovrano pontefice discendiamo alla corte come luogo essenziale alla simbolica del potere, la categoria della pluralità vi domina incontrastata. Un classico della letteratura sull'argomento, il trattato De cardinalatu di Paolo Cortesi da San Gimignano, espose sulla base di una folta casistica le forme delle molte corti che nascevano intorno ai cardinali quando essi erano veri principi della Chiesa. Molteplicità e varietà delle corti volevano dire anche flussi sociali periodici a ogni cambiamento del sistema di potere: il che, in una corte dove il potere centrale era elettivo e non veniva trasmesso per via genealogica -o almeno, non automaticamente- significava, ad esempio, che ogni nuovo pontefice si portava dietro servitori, amici, clienti della sua patria, e quel movimento di entrata corrispondeva a un altro di uscita, con l'esodo di chi aveva seguito a Roma il suo predecessore. E così la corte che in altre realtà statali europee costituisce -soprattutto nei secoli della prima età moderna- la stella fissa dello scenario del potere, a Roma funziona come un potente fattore di mobilità e di pluralità urbana.
Pluralità e varietà sono caratteri declinati in positivo e in negativo, nella storia delle immagini di Roma: e spesso i giudizi opposti hanno avuto per oggetto le stesse cose. Le cose da ammirare -i mirabilia Urbis- potevano diventare cose da detestare e cancellare: la presenza dei monumenti dell' altra religione, quella pagana, era motivo di attrazione proposto ai pellegrini, ma poteva anche presentarsi come un'offesa all'unica vera religione e stimolare desideri e progetti di cancellazione di simili vestigi. E questo ci ricorda un altro dato essenziale della realtà romana: pluralità non significa disposizione al pluralismo, il molteplice sociale e culturale non si traduce automaticamente in abiti mentali disposti alla tolleranza. Le presenze non cristiane nella capitale del papato e del cristianesimo occidentale sono state anche presenze importanti e di lunga, lunghissima durata. Si pensi a quella degli ebrei: una componente quotidiana e familiare del panorama umano di Roma, ma non per questo pacificamente vissuta, anzi sempre problematica, spesso in modo drammatico, sempre in bilico tra esclusione (o integrazione) violenta ed emarginazione, destinata all'esercizio di un sentimento sociale oscillante tra la sopportazione e l'aggressione. Rispetto alla figura dell'ebreo, solo quella dell'eretico configura un livello peggiore.
L'eretico è, a sua volta, figura associata alla caratteristica della varietà e della molteplicità, opposte alla semplicità della fede. Non per niente, l'idra è stata scelta a simbolo dell'eresia. La quale eresia, d'altra parte, è solo la punta estrema di una piramide costituita dai molti livelli e dalle infinite forme di cui è capace la devianza: errore, colpa, peccato, crimine, delitti dei corpi e macchie delle anime; e Roma è il luogo di governo di anime e corpi, ai quali eroga giustizia e/o misericordia. A tutti senza limitazioni: ai vivi ma anche ai morti da quando l'invenzione del Purgatorio forni un territorio atto a dilatare i confini del potere papale oltre la durata della vita umana. Morti e vivi, peccatori o criminali, tutti pellegrini verso la città dei martiri e delle indulgenze, dei santuari e dei tribunali. La condizione di Roma come capitale e centro direzionale del sistema dei tribunali ecclesiastici, del loro poderoso e onnicomprensivo disegno di amministrazione di una giustizia totale (foro interno ed esterno, foro della penitenza e foro criminale, perdono e punizione, indulgenze e suffragi) ha attirato imputati, penitenti e avvocati da ogni parte del mondo. Ancora una volta, dunque, la categoria che viene in mente, forse l'unica possibile, è quella del plurale e del molteplice. Si pensi, per fare un solo esempio, alla forma romana dei grandi rituali delle esecuzioni di giustizia: esecuzioni capitali per criminali, ribelli ed eretici, atti pubblici di abiura in cause di fede. E un volto essenziale della giustizia d'antico regime, un aspetto del passato per il quale la comparazione storica è d'obbligo. Ebbene, nemmeno la teatralità terrifica dell'atto pubblico di fede -la punizione dell'eretico - ha raggiunto a Roma quella scenografica unità del rito che si è fissata per sempre sullo sfondo della realtà spagnola. E sullo sfondo spagnolo della Plaza Mayor e non su quello romano di Santa Maria sopra Minerva o di Campo de' Fiori che l’auto da fé ha conquistato il suo posto nel teatro dell'orrore. In Italia, solo gli spiriti liberali del Risorgimento sono riusciti a elaborare simbolicamente in forma monumentale l'immagine dell'esecuzione di Giordano Bruno a Campo de' Fiori.
Trovare un percorso unitario, una chiave interpretativa capace di far emergere i caratteri originari di questa storia è impresa certamente ardua, forse impossibile. Non che sia mancato il tentativo di obbligare una città siffatta allo statuto dell'unità: anzi, il tentativo è avvenuto più volte, in varie forme. La polemica dei riformatori che opposero a Roma il modello di Ginevra come luogo di unità fra religione interiore e comportamento esteriore è solo il capitolo piu noto di questa vicenda ed è nello stesso tempo la riprova di quanto la proposta fosse negatrice della realtà effettiva di Roma. L'ultimo tentativo in ordine di tempo è stato quello di definire per legge (anzi, per concordato) il carattere «sacro»della città, usando della definizione come di un letto di Procuste per ricavarne i divieti conseguenti ed espungere dalla vita di Roma tutto ciò che appariva offensivo di tale sacralità.
L'inevitabile riflettersi sulla città della presenza del papato e il conseguente intreccio di immagini apologetiche o polemiche che tendono a vederla come semplice irraggiamento o inveramento dei caratteri, delle qualità e dei difetti di volta in volta attribuiti al papato hanno reso la materia più densa e anche più resistente all'analisi storica. D'altra parte, una cosa è certa: l'ascesa storica del papato e delle istituzioni centrali di governo della Chiesa dai tempi della «rivoluzione papale» (secondo la definizione di H. J. Berman) e della progressiva costruzione di uno Stato territoriale hanno potentemente contribuito a modificare la realtà di Roma…