Con questa nuova Storia d'Italia la nostra casa editrice ha inteso portare un suo contributo non solo o non tanto a rinnovamento dello studio del passato, quanto più in generale alla riflessione sulla vita del nostro paese nel presente e nell'immediato futuro. Pur coi suoi inevitabili limiti, dei quali noi per primi siamo consapevoli, questa è infatti un'opera militante, un'opera aperta alla discussione e alla critica e non indirizzata alla chiusa cerchia degli specialisti, ma a tutti coloro che partecipano consapevolmente all'attività politica, all'attività produttiva, all'attività culturale. Ho definito nuova questa Storia d'Italia: cercherò di dirvi in che cosa consista questo proposito di novità. Ma innanzitutto bisogna forse chiedersi: perché un'altra Storia d'Italia? In passato, altre opere che hanno esposto criticamente la storia d'Italia hanno corrisposto in generale alle specifiche condizioni in cui versava il paese. L'apprendimento della storia, - in particolare della storia politica - è stato considerato dalla grande tradizione liberale ottocentesca come la via maestra per la formazione di una classe dirigente e del personale politico preposto alle cure dello Stato.
Oggi, il sapere storico, come parte essenziale della cultura e strumento determinante di formazione politica, non può essere più circoscritto a gruppi privilegiati, ma dev’ essere il fondamento di un'educazione democratica, e quasi vorrei dire un'arma critica, capace di mostrare, oltre ai fasti e alle glorie, i limiti e le insufficienze delle vecchie classi dominanti, le scelte condizionatrici, l'origine di problemi che oggi ancora gravano sulla nostra esistenza nazionale, i nostri bisogni più vivi e profondi. Per questa ragione ci è parso che oggi una storia d'Italia dovesse gettare luce anche su aspetti tradizionalmente trascurati, indicando nella loro complessità e nel loro vario intrecciarsi fenomeni chiave del nostro passato: non solo i grandi scontri politici o le più clamorose vicende della vita economica, ma i contrasti di fondo, le strutture portanti della società, gli aspetti particolari della vita politica, sociale, culturale. In pari tempo si è voluto esaminare la storia italiana nel più ampio contesto della storia europea e universale, e scorgere i rapporti forse meno vistosi ma non certo meno essenziali intercorsi fra l'Italia e gli altri paesi del mondo.
A questo scopo abbiamo cercato di approfittare non solo dei risultati raggiunti dalle grandi scuole storiografiche italiane, ma anche dalle esperienze degli studiosi di altri paesi, e soprattutto di quelli che hanno saputo elaborare audacemente metodi innovatori. È stato cosi possibile trarre vantaggio delle tecniche e delle problematiche più nuove. Ai principi fondati sull'antiquato concetto delle scienze ausiliarie della storia vanno proficuamente sostituendosi procedimenti operanti in base a una ben più larga visione dei rapporti d'interdipendenza fra le scienze umane, dei necessari raffronti interdisciplinari, delle possibilità offerte da tecniche scientifiche. Cosi, ad esempio, gli apporti dell'aerofotografia per la ricerca degl'insediamenti oppure l'analisi dei pollini per lo studio delle colture e delle vegetazioni del passato anche remotissimo consentono una ricostruzione del paesaggio articolata e complessa.
Se il primo volume della Storia d'Italia reca un titolo, I caratteri originali, che può apparire ambizioso, è perché di fatto già alla lettura dei diversi saggi in esso raccolti il nostro passato ci è parso che venisse configurandosi in modo profondamente unitario. Al di là di quella che è stata la frammentazione della penisola e i suoi vari casi, appare nella molteplicità delle tendenze un filone profondo che ci permette di guardare alla storia italiana come a un insieme governato da leggi valide e vitali. Ma non vorrei con questo rimettere in uso un certo ottimismo di maniera sulla necessità fatale del nostro esistere nazionale, anzi, al contrario mi pare che lo studio della nostra storia ci dovrebbe mettere in guardia contro i pericoli che derivano dal sostituire alla conoscenza dei fatti reali e alla capacità di assecondarne lo sviluppo, un lassismo cieco e privo di prospettive innovatrici.
Certo, la nostra Storia d'Italia non può ambire a dare in modo immediato, completo e sintetico lo svolgimento del grandioso processo plurisecolare cui accennavo. In qualche modo, alla luce delle recenti esperienze, dei metodi di ricerca più nuovi, essa si propone di riunire in un quadro generale i materiali capaci d'offrire una panoramica vasta e complessa. Nei momenti di trapasso, di ansia, di rinnovamento, mentre grandi resistenze e contrasti segnano il difficile cammino di un paese come
il nostro verso un ordinamento democratico avanzato, la ricerca storica serve in modo particolarmente creativo, e, ancora impossibilitata a stringere in sintesi i vasti quadri che si aprono davanti alla sua indagine, cerca di gettare
luce sugli angoli più riposti, di scavare a fondo terreni inesplorati, di mettere in risalto quei momenti di articolazione più segreta ma anche più essenziale per lo sviluppo successivo.
Non sono in grado di dire, ovviamente, in quale misura possa dirsi riuscito il nostro tentativo. Una cosa, però, credo di poter dire. La consapevolezza che la ricerca storica è uno dei modi più efficaci di partecipazione alla realtà presente ha sempre animato l'azione della mia casa editrice, fin da quando, nel 1935, Leone Ginzburg diede il primo impulso a quella serie di opere che si pose l'ambizioso obiettivo di contribuire a una conoscenza rinnovata della storia italiana. Allora il Sommario del Salvatorelli fu uno dei primi passi compiuti in questa direzione e l'opera, che sintetizzava i migliori risultati della nostra storiografia politica, fu senza dubbio un valido strumento per dare a coloro che si preparavano ad affrontare la fase forse più drammatica della nostra vita unitaria, il senso del nostro passato. Allo stesso modo io credo che lo storico di domani, se vorrà dare in sintesi efficace una visione della storia italiana, non potrà non fare i conti con l'opera che viene qui presentata. Non è un monumento che pretendiamo di offrire, ma un contributo operante nella vita del nostro tempo.
Giulio Einaudi