Da Le frontiere del letterario:
Alla base del lavoro d'impostazione e di realizzazione della Letteratura italiana Einaudi abbiamo messo, tra gli altri, due presupposti, che vorrei qui brevemente richiamare allo scopo di agevolare la comprensione di questo sesto volume. Innanzi tutto, abbiamo scritto più volte che i confini della letteratura (e quindi anche della storia della letteratura) coincidono con quelli che di volta in volta assume il testo. Non ci può essere nozione di letteratura a prescindere dalla forma concreta di un testo (la letteratura è un insieme di testi, legati fra loro da relazioni individuabili e determinabili, di tipo non soltanto storico). Sentiamo il bisogno di ricordare questo assunto, introducendo un volume come questo, in cui, all'incirca per metà, si studiano le intersezioni fra codici strettamente letterari e codici apparentemente o sostanzialmente di altra natura (teatrali, spettacolari, musicali, ecc.). Non dovrebbe sfuggire che, anche in questi casi, la lunga analisi dei rapporti fra codice e codice, e delle loro reciproche trasfusioni, conduce alla fine a coagulare, piuttosto che a dissolvere, nuove nozioni di testo, determinate dalla confluenza stessa dei diversi linguaggi (si pensi, ad esempio, alla singolare natura e funzione di un «testo letterario» come il libretto d'opera). Questa estensione di una possibile tipologia del testo, letterario o no, non è del resto contraddittoria, anche in questo caso, con il nostro presupposto. E vero, infatti, che non ci può essere letteratura al di fuori della forma concreta del testo. E anche vero, però, che la nozione di testo non è riducibile ad una nozione meccanicamente fissata una volta per tutte di letteratura, né, a miglior ragione, è da essa ricavabile. Nozioni e pratiche della letteratura cambiano continuamente, e addirittura ce ne possono essere durante lo stesso periodo più di una in conflitto fra loro, anche quando non ce ne sia un'intera consapevolezza da parte dei protagonisti stessi di questi processi. La costruzione del testo è l'obiettivo fermo, cui la letteratura mira, qualsiasi sia la collocazione del punto da cui il processo prende inizio. Tale punto di partenza può essere addirittura collocato nel mondo dell' oralità, cioè al di fuori di quell'orizzonte della scrittura, dentro cui una lunga tradizione aveva confinato la produzione del letterario (motivo che abbiamo già assodato altrove, e che ritorna più volte anche in numerosi saggi di questo volume), Ma, come si può vedere qui meglio che altrove, può essere collocato anche all'interno di esigenze spettacolari, che evocano e plasmano la parola letteraria secondo esigenze e dinamiche, che, in senso stretto, potrebbero anche definir si non letterarie.
Lo studio della letteratura - in teatro e della letteratura - in musica dimostra dunque con grandissima evidenza sperimentale che la formazione del testo letterario non rappresenta il frutto di un processo monodirezionale, il quale segua, per intenderci, il binario fissato dall' accumulazione dei dati e delle esperienze propri della tradizione. In casi come questi si rivela assai più determinante l'inserimento, ad una determinata altezza, di fattori linguistici provenienti da tradizioni e da mondi espressivi diversi. La «parola in musica»non è la parola letteraria accompagnata da un elemento espressivo d'ordine musicale: è, di per sé, un elemento espressivo complessivamente diverso, sia rispetto all' originaria determinazione letteraria sia rispetto al puro e semplice accompagnamento musicale (si veda qui il saggio di Pierluigi Petrobelli, che apporta elementi nuovissimi alla comprensione di questo problema). Forse questo si potrebbe dire, appunto, di qualsiasi rapporto fra parola letteraria e universi linguistici ed espressivi d'altra natura. Ma in taluni casi - quelli studiati in questo volume - ciò si può affermare con maggiore significatività e sistematicità che in altri. Testo e musica (e, anche, con esemplarità e complessità ancora maggiori, teatro - in musica) rappresentano due grandi frontiere, dove il letterario continuamente si forma e si ri-forma da qualche altra cosa, che originariamente letterario non è, e continuamente contribuisce a produrre e a modellare forme e linguaggi espressivi, che letterari non sono né pretendono di essere. In un' altra occasione abbiamo parlato a questo proposito di processi linguistici osmotici. La reciproca modellazione non conosce soste; sarebbe come se il profilo di un sigillo fosse al tempo stesso calco ed impronta d'un segno, che è il medesimo ed anche, però, il suo proprio contrario fino al punto d'apparire, talvolta, irriconoscibile. L'immagine dell'osmosi non deve tuttavia far pensare a qualcosa come un'incessante ed inafferrabile confusione di linguaggi. Diaframmi invece ce ne sono, e quando quelli precedenti siano dissolti proprio a causa dell'inesorabile corrosione determinata dal flusso dei nuovi fattori linguistici e semantici, altri se ne formano, in conseguenza, appunto, delle mutate condizioni dell'universo linguistico complessivo (già molti anni or sono, e con strumenti interpretativi assai diversi da quelli qui utilizzati, Carlo Calcaterra aveva studiato con acutezza le mutazioni intervenute nella poesia italiana del Seicento e, soprattutto, del Settecento, in conseguenza del suo rapporto con le contemporanee esperienze della melica). Però, tali diaframmi non sono rigidi, non sono impermeabili: un flusso costante di modificazioni linguistiche li attraversa, talvolta in una sola direzione, talvolta, reciprocamente, in ambedue le direzioni.
E veniamo al secondo presupposto. A questi fenomeni osmotici la Letteratura italiana ha sempre dedicato grande attenzione. Due saggi importanti su forme fondamentali di osmosi linguistica sono quelli di Ivano Paccagnella e Giorgio Raimondo Cardona nel secondo volume. Ovviamente, la lingua è per sua natura un gran veicolo di processi osmotici. Se quei due saggi vengono richiamati con rilievo partIcolare proprio in questo punto, ciò avviene perché non sembrano mancare relazioni (sia pure implicite) fra la loro impostazione - tutta intesa a studiare rapporti e scambi fra alto e basso, fra tradizione e innovazione, fra letterario e non letterario e, non certo casualmente, fra oralità e scrittura - e quella che presiede all' analisi dei rapporti fra letteratura e musica e fra letteratura e teatro in questo volume. In quei casi, come in questi, lo studio delle zone di frontiera nei processi di formazione del letterario porta a privilegiare una concezione schiettamente antropologica (cioè, non formalistica in senso povero) del letterario stesso. Le radici del letterario sono ovunque (a questo tema abbiamo dedicato l'intero quinto volume dell'opera, Le Questioni). Per scoprirle e studiarle nei loro processi formativi bisogna innanzi tutto abbattere i confini, le recinzioni e gli steccati protettivi, dentro i quali le culture letterarie si sono di periodo in periodo costruite le proprie immagini ed identità, prendendo a modello ogni volta i propri antecedenti, immediati o remoti. L'antropologia, con il teatro o con la musica, irrompe prepotentemente sulla scena del letterario. E una visione pio globale e al tempo stesso pio polimorfa ed impura della creazione letteraria, che in questo modo viene chiamata in causa. Però, al tempo stesso, potente è anche il contributo che questo magma di relazioni espressive apporta alla formazione di nuove idee specificamente letterarie (si veda ad esempio il modo con cui Franca Angelini descrive il contributo dell' esperienza strettamente teatrale, anzi capo-comicale, di Luigi Pirandello alla formazione della sensibilità letteraria italiana del Novecento). Le idee letterarie segnano le tappe di realizzazione di questo processo di formalizzazione, che provoca, nello stesso tempo, anche un processo di crescita della coscienza intellettuale di un determinato periodo. L'allargamento della nozione di letterario al di là dei confini stabiliti dalla tradizione è dunque, a sua volta, un'operazione che finisce per coinvolgere non solo le idee letterarie in quanto tali ma zone molto pio estese e profonde della sensibilità collettiva (si pensi, ad esempio, alla funzione svolta dal teatro d'opera nel corso dell'Ottocento su aspetti molto significativi della nostra «cultura nazionale di massa»). Carducci e D'Annunzio vanno, quanto meno, integrati e corretti con Rossini e Verdi, se si vuoI avere un'idea pio complessiva della civiltà non solo culturale ma, io oserei dire, anche strettamente letteraria in Italia fra romanticismo e prodromi di decadentismo. Teatro e musica avrebbero potuto anche essere, nel nostro linguaggio, due grandi «questioni». L'importanza dei temi e la vastità delle zone espressive affrontate hanno tuttavia suggerito l'ovvia e giusta soluzione di garantir loro un COSI ampio ed inconsueto spazio nella ricostruzione di un profilo tematico-storico della letteratura italiana, che noi veniamo con quest' opera realizzando.
Ne è risultato il volume probabilmente più bachtiniano dell'intera serie. […]